Non sono un profondo conoscitore di questa band
power metal tedesca, ma l'unico loro album che posseggo,
Nightfall in Middle-Earth (ispirato al Silmarillion di J.R.R. Tolkien), non mi era dispiaciuto affatto.
Le uniche critiche che potrei fargli sono la qualità non proprio eccelsa del cantante, Hansi Kürsch, e la tendenza alla pallosità dopo un ascolto prolungato.
Direi che entrambi i punti deboli sono stati confermati dalla loro esibizione
live: Kürsch sugli acuti proprio non si può ascoltare (sembra che lo stiano strozzando) e i pezzi, per quanto gradevoli e ben suonati, dopo i primi trenta minuti cominciano a stufare.
Nel complesso è stato uno spettacolo comunque più che gradevole. Mi è piaciuto particolarmente il modo di suonare del chitarrista solista, André Olbrich, lontano dai funambolismi a cui ci hanno abituati certi smanettoni contemporanei, ma sempre preciso ed efficace. Un bel fraseggio senza inutili tecnicismi.
Terminato anche questo concerto, comincia l'attesa per uno dei
main act della giornata.
Che i Dream Theater fossero uno dei gruppi più attesi si sapeva, ma sinceramente non mi sarei aspettato una tale folla. Molta gente era venuta apposta per loro, pare, e a pochi minuti dall'inizio lo spazio antistante il palco si era talmente riempito da rendere assai difficile muoversi.
Il concerto inizia con l'
intro, registrata, di
Pull Me Under e subito parte l'ovazione del pubblico. La band attacca con l'ingresso della chitarra distorta ed esegue l'intero brano con la consueta maestria. Pubblico in delirio. Il
vocalist James LaBrie ringrazia ed annuncia che, per celebrare l'imminente quindicesimo anniversario del loro album più famoso ed acclamato,
Images and Words, lo eseguiranno per intero. Scatta l'euforia collettiva.
Io stesso devo dire di aver accolto la notizia con notevole entusiasmo. Adoro quell'album ed alcuni dei brani che lo compongono non li avevo mai sentiti dal vivo.
Si prosegue dunque con
Another Day,
Take the Time,
Surrounded (riarrangiata inserendo un estratto da
Sugar Mice dei
Marillion),
Metropolis Pt. 1: The Miracle and the Sleeper,
Under a Glass Moon,
Wait for Sleep, e
Learning to Live, come da
track list dell'album.
Come bis, per non scontentare gli appassionati del metallo più pesante,
Home (tratta dall'album
Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory) e
As I Am (tratta da
Train of Thought).
Nel complesso un'ottima prova, con un LaBrie abbastanza in forma, che non sfigura alle prese con brani di difficile esecuzione (che per un certo periodo gli avevano creato non pochi problemi dal vivo) ed un Myung forse un po' stanco (qualche errorino da parte sua, cosa piuttosto rara), ma dal gran suono.
Portnoy ha tirato qualche stecca, ma nel complesso si è comportato bene (però, per pietà, non fatelo cantare più! vi prego!), evitando di peccare eccessivamente di
overplaying, e Rudess, che non amo particolarmente, è riuscito a non rovinare i pezzi con i soliti suonacci da fantascienza e i suoi inutili frullati di tasti.
Petrucci di un altro pianeta, come al solito, tra l'altro fotografatissimo e filmatissimo dai giovani appassionati delle sei corde presenti.
Un concerto da ricordare.
Alcuni credo non lo sapessero (io stesso l'ho capito dopo aver deciso di andare al concerto), ma gli Heaven and Hell altro non sono che la seconda incarnazione dei Black Sabbath, quella degli album
Heaven and Hell (appunto),
The Mob Rules e
Dehumanizer, con Tony Iommi alla chitarra, Geezer Butler al basso, Vinny Appice alla batteria (subentrato a Bill Ward dopo la registrazione di
Heaven and Hell) ed il mitico Ronnie James Dio alla voce.
La preparazione della scenografia è stata laboriosa ed ha richiesto un po' più della mezz'ora prevista. Atmosfera abbastanza cimiteriale, con le casse di basso e chitarra, rispettivamente sulla sinistra e sulla destra del palco, collocate dietro puntuti cancelletti di metallo, un fondale in stile antico maniero e tre schermi sospesi, sui quali proiettare immagini, che a me sembravano rappresentare altrettante finestre dell'edificio retrostante, ma in cui altri hanno identificato delle lapidi.
Di certo di grande effetto.
I quattro si sono dimostrati in grande forma, presentando unicamente brani tratti dai suddetti tre album ed offrendo uno spettacolo di notevole effetto, sia dal punto di vista sonoro che visivo.
Iommi roccioso come sempre e in questa occasione particolarmente preciso ed efficace. Appice potente ed energico, sia nei brani che nel lungo assolo di batteria centrale.
Butler compassato ma sempre presente a sostenere i pilastri ritmici della
band.
Ma il vero protagonista è stato lui: Ronnie James Dio. Questo intramontabile sessantaseienne ha dimostrato di avere ancora energia da vendere, non solo dal punto di vista vocale, ed una statura sempre ben superiore a quella fisica. Non una stecca, non una sbavatura, ha accompagnato il pubblico attraverso l'intera esibizione con quel suo fare da
gentleman del metal, al tempo stesso autorevole e cortese.
Una grande esibizione che, assieme alla precedente, bastava a giustificare il prezzo del biglietto. Certamente una degna conclusione per una bella maratona musicale.