Quando la faccia non conta
Gustavo Selva ha ritirato le sue dimissioni da Senatore della Repubblica.
E non si è limitato a questo, ma non ha perso l'occasione, in un delirio autoassolutorio, per lanciarsi in un turbine di giustificazioni sul filo del ridicolo, durato più di mezz'ora e costellato da maldestri tentativi di voltaggio della frittata.
"I cittadini mi invitano a restare". Veramente gli unici inviti che ho sentito erano di tutt'altro indirizzo.
Rivolto ai Senatori: "lo faccio per rispetto vostro". Rispetto? Almeno il buon gusto di evitare le prese per i fondelli.
E qui dà il meglio: "se voi mi assolvete potrebbe sembrare la casta che si autodifende". Certo, molto meglio sottrarsi direttamente al giudizio, dunque.
E poi giù con scuse al limite del patetico: "ho cercato per 30 minuti [...] di far arrivare un taxi", "quelle concitate telefonate mi provocarono delle fibrillazioni cardiache". Come se dal raggiungimento di quello studio televisivo dipendesse la salvezza del genere umano.
A dir poco ridicolo il parallelo tra l'ambulanza di cui avrebbe indebitamente approfittato e quella che trasportò Mussolini, tratto in arresto il 25 luglio del 1943 (forse Vittorio Emanuele III voleva farlo trasportare negli studi della radio?).
Ma il vero motivo del ritiro delle dimissioni viene fuori nell'ultimo commento: "un voto in meno del centrodestra al Senato è un giorno in più per il governo Prodi". In sostanza, si può ben sacrificare la propria faccia (ammesso che ancora se ne possegga una) alla logica di partito.
Non so come giudicate voi un simile comportamento. A me viene in mente una sola parola: comincia per "p" e finisce per un sinonimo di "deretano".
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