L'importanza della pratica
Ieri sera finalmente sono riuscito ad esercitarmi un po'. Sono giorni che ci provo, ma per una storia o per l'altra finisce sempre che si fa troppo tardi, che sono troppo stanco e me ne vado a dormire.
La pratica è importante e te ne accorgi in maniera drammatica quando ti rimetti sullo strumento dopo giorni di inerzia.
Per rompere il ghiaccio ho scelto una lezione sulle armonizzazioni, che con Mick avevamo deciso di preparare per poi provarla assieme. È passato più di un mese da allora, ma mi consolo pensando che probabilmente lui non l'ha ancora guardata.
La lezione non era particolarmente difficile e, incurante dell'ora tarda grazie al mio fido Pod Pro e alle mie cuffie chiuse, mi sono districato attraverso la prima parte senza troppi problemi.
I dolori sono arrivati con le ultime sei battute: un run di tre coppie settina-sestina, da eseguire con un misto di plettrata alternata e legato. Un incubo.
Tutta in alternata ce la farei anche, ma la combinazione con il legato e quella diavolo di settina da tenere a tempo mi mettono un po' in crisi.
Morale: ho fatto le due di notte senza venirne a capo.
In passato mi sarei sconfortato, ma oggi non più. Questo perché ho capito qual è lo scopo principale del fare esercizio: metterci di fronte a qualcosa che non siamo in grado di fare, per affrontarlo ed assimilarlo. E questo è un processo spesso lento e graduale, fatto di costanza e di pazienza.
Esercitarsi solo su cose che già si padroneggiano non serve a crescere: è un esercizio conservativo. È utile, anzi, indispensabile a non regredire, ma non produce alcun cambiamento.
Per progredire occorre fare un esercizio evolutivo. Significa sforzarsi di affrontare anche ciò che all'inizio ci sembra insormontabile.
Fioretto: esercitarsi almeno tre volte a settimana, prove escluse.
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